Giangiacomo Merli

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La sua opera è stata recensita da molti giornali, riviste e cataloghi d'arte nazionali ed esteri, tra cui:

Il Corriere della Sera, Il Giornale Nuovo, Il Gazzettino, La Notte, Il Corriere d'Informazione, Il Giorno, l'Avanti, Il Capitale, L'Unità, Il Sole 24 Ore, Panorama, Valigia Diplomatica, Alba, Tempo, Amica,  Gioia, La Cucina Italiana, Tempo Medico, Derby, Via!, La Gazzetta di Monaco,The Italian Daily, Daily American, Le Figaro, L'Espoir, La Revue Moderne II, Arte Cultura, The International Association of Lion Club, Che vi do - Associazione Pane Quotidiano.

Catalogo Mostre Società Permanente Belle Arti di Milano, 1965 -1968; Cataloghi Aste Brerarte, 1969, 1970, 1971, 1972, 1973; Catalogo Pittori Lombardi e Piemontesi, 1970; Enciclopedie Biographique des Arts Plastiques, Montecarlo, 1971; Annuario Comanducci, Milano, dal 1974 al 1982; Arte Mercato, Milano dal n. 1 al n. 7, 1975; Annuario Comed, Guida Ragionata delle Belle Arti, Milano, dal 1983 al 2003; L'Elite - Selezione Arte Italiana - Varese, dal 1974; Annuario Monteverdi, Milano, 1982; Catalogo "L'Arte e il Bambino" alla Biennale di Milano; Cataloghi Auktion Schweize Malerei, Galleria Kurt Huber, Zurigo, 1983 - 1985. Artisti Italiani Contemporanei, Bolaffi, Enciclopedia Seda, Arte Italiana nel Mondo.

 

 

"Si parla molto di ritorno alla figurazione. Non è solo un ritorno di moda da parte degli artisti, ma anche un'esigenza del pubblico che "guarda" e vuol capire. Abbiamo assistito, o meglio subìto, in questi ultimi anni, tentativi utopistici nel campo della ricerca visiva, un voluto abbandono della fantasia, a favore di ricerche visive - concettuali - il più delle volte labili ed illusorie. Non parliamo, ovviamente, dei maestri dell'avanguardia, ma dei loro epigoni, che non hanno portato "rivoluzione", ma l'eliminazione dei sentimenti e la costruzione di un non-pensiero. È avvertibile in questi ricercatori, la nevrotica volontà di evitare qualsiasi realizzazione di ricerca estetica, come se, nella dicotomia di bello e brutto o di buono e cattivo, fosse rimasto nel loro vocabolario solo il secondo termine.

Giangiacomo Merli, invece, rimane aggrappato alla zattera della pittura figurativa e conserva con cocciutaggine, come una reliquia il proprio cavalletto. Questo "demoniaco della restaurazione" ha fatto in tempo a frequentare lo studio di Carrà ed ha avuto la fortuna di avere come maestro Aldo Carpi, all'Accademia di Brera.

Con la lentezza esasperante e colta Merli prepara la sua tavolozza e stende felicemente sulla tela i colori, in un gioco informale che diviene riconoscibile figuratività mano a mano che l'occhio si allontana dall'oggetto. I suoi paesaggi, limitati e chiusi in brevi spazi, ricchi di elementi e umori naturali, sono filtrati dal di dentro, attraverso una visione interiore di quiete. In un'estatica sospensione tra realtà ed immagini sognate, Merli inspessisce il colore per poi appiattirlo in stesure quasi trasparenti, morbide e pulite: sono giardini in fiore, boschi in autunno, dove i gialli e i verdi hanno una loro morbida provvisorietà".

 

PAOLO LEVI

 

Scrivendo d'un pittore, s'inizia sempre parlando del suo "registro cromatico". Voglio fare un'eccezione: di Giangiacomo Merli voglio ricordare, prima di tutto, Le qualità umane. Era un uomo sincero, colto, dotato di ironia, attento ai mutamenti della storia e del costume. Era sempre piacevole conversare con lui, ripercorrere esperienze lontane, che avevano lasciato un segno nella sua vita e nella vita di questa città, che amava moltissimo.

È vero: erano altri tempi. La storia della pittura non si faceva soltanto in galleria, ma anche a tavola. Tra chi dipingeva e chi, come "addetto ai Lavori", doveva riferirne ai suoi lettori, si stabilivano rapporti di stima e di amicizia: le mostre erano un'occasione in più, tanto gli "amici" quei quadri li avevano visti nascere. E quì bisogna ricordare che, quando dipingeva, Giangiacomo non aveva ripensamenti. La sua pennellata, morbida, arrivava sulla tela come una carezza. I suoi paesaggi nascevano dal cuore.

Si faceva un gran parlare, allora, di "tendenze". Il popolo dell'arte era profondamente diviso. Maccari ammoniva: "Non comprate i quadri astratti, fateveli da soli". Lucio Fontana stupiva con i suoi tagli e con i suoi buchi. Merli, invece, tirava dritto: i fondamenti della sua pittura erano quelli che corrispondevano alle sue emozioni, al suo amore per la bellezza. Sì, era proprio questa l'oggetto della sua ricerca, continuata per tutta la vita.

In molte città italiane, e anche all'estero, le mostre di questo pittore hanno sempre suscitato apprezzamenti spontanei. Certo, le recensioni, le critiche (assai lusinghiere) hanno avuto il loro peso; ma era più bello, per lui e per coloro che lo conoscevano a fondo, il complimento di un collezionista, la stretta di mano di una signora che in quei colori costruiti con un'irripetibile architettura aveva trovato motivi di commozione.

Il pittore genuino punta soltanto sui sentimenti. Giangiacomo era sempre se stesso: il famoso "registro cromatico" cui abbiamo accennato all'inizio di questo scritto, era ricco ed era semplice: nessun tono esasperato, nessuno squillo, ma un racconto poetico che seguiva strade insolite, piene di luce, lontane da ogni compiacimento, da ogni "accademia" (già, c'era allora - e c'è ancora - chi fa sempre lo stesso quadro, convinto che non vanno tutti nella stessa casa).

È bello ritrovare in un libro i quadri, i giudizi, i percorsi, di un uomo che ha amato l'arte ma anche

la vita, e che è riuscito a fare - di queste due grandi entità - una sola, affascinante realtà. Sono orgoglioso di partecipare a questa iniziativa, come compagno di strada e come amico.

 

IGNAZIO MORMINO

 

Una pittura che, a prima vista, ci dà il senso di un rapporto felice con la natura che Giangiacomo Merli metteva in luce in ogni modo per suo godimento e per piacere della sua personalità. In realtà il significato più profondo sta nella capacità di questo artista di porsi in rapporto tra la natura e il mondo quotidiano. La natura è considerata e ripresa in particolari, in piccole parti, per non disperdere la possibilità di una riflessione: un angolo di casa, uno spicchio di giardino, la veduta di un canale, una pianta rampicante. Bellezze assorbite in meditazione e portate sulla tela in solitudine. Alla sua sensibilità offriva la libertà dell'impressione, congeniale al mondo che viveva e che lui si era creato. Un mondo in cui le sue opere potevano giungere alla vetta dell'arte comunicando la strada di una verità intima ed illuminata.

Gli piaceva, in compagnia di amici, definirsi pittore laico: artista esoterico. Proprio per questo suo dipingere pacato in una tavolozza nitida e giocata su molti toni, come lo spuntare del trillo di qualche rosso o la magia di un verde intenso.

In effetti era uomo di familiare semplicità e di grande riservatezza, qualità quest'ultima che riversava nella sua pittura, rivelatrice di riti e di insegnamenti di vita. Una pittura istintiva, ove le sue emozioni trovano modo per esprimersi sulle cose che amava di più.

Nascono questi capolavori di Giangiacomo Merli sotto il profilo dell'evento vissuto non tanto come fatto temporale ma come suggestione e grande capacità intuitiva. Se ne può trovare la ricchezza dei contenuti e con essi convivere ed arricchirsi in queste presenze vegetali non incasellate, ma ideate per un tempo che è il nostro e per uno spazio che è quello di un grande artista come Giangiacomo Merli.

 

GIORGIO FALOSSI

 

"Al fine di pervenire a simili risultati, il nostro artista si è affidato in primo luogo a quell'elemento imponderabile che è l'estro. Spiegare altrimenti la sua ardita facilità nel riassorbire un segno di per sé pungente e spiritoso, nel plasma del colore e/o nella fluidità della luce, sarebbe impossibile; per cui non è azzardato concludere che la pittura di Giangiacomo Merli nasce proprio dall'incontro dell'estro con le infinite risorse offerte dalle immagini che pur nella loro ovvia evidenza forniscono una gamma d'infinite variazioni, su cui la fantasia si esercita felicemente ad estrarre qualcosa di poeticamente vero da una realtà che, in se stessa, potrebbe apparire instabile e transitoria. Constatare che un paesaggio, un fiore, una giostra, un gruppo di bianche monachine, un nudo o una piazza alberata fanno ancora parte del nostro patrimonio spirituale e riconoscerli nitidamente in un fresco gioco di colori, luci e segni è attribuire alla pittura di Merli la sua esatta collocazione in un panorama quanto mai fosco che proprio gli artisti come il nostro riescono ancora ad illuminare di gioiose sorprese".

 

MARIO MONTEVERDI

 

"La sua maniera di considerare l'arte, direi quasi come una religione e le sue doti artistiche gli hanno permesso di compiere un cammino spedito. Merli sa guardare la natura con umiltà ed acutezza, con lei stabilisce un colloquio vivo ed affettuosamente emozionato.

Il suo temperamento è quello del colorista. Lo indicano certe sue note trillanti e non meno quelle basse, il tessuto pittorico nel suo complesso. La sua maniera di esprimersi è semplice e svelta, con una pennellata generalmente succosa, immediata, cui risponde un impianto largo ed animato".

 

MARIO LEPORE

 

"La pittura di Merli è oggi interamente aperta ad una essenzialità di intuizioni e di attuazioni cromatiche e compositive: i personaggi dei suoi racconti pittorici (emancipati da ogni componente letteraria o pateticamente sentimentalistica), la luce dei suoi paesaggi e dei suoi ambienti (la stessa materia stupendamente illimpidita) si pongono ad un livello di purezza tale da esaurire, da bruciare ogni scoria dei momenti effimeri che ne sono stati il pretesto: sono immagini, quelle dipinte da Merli che nell'ambito della contingente realtà - pur sempre indispensabile componente di ogni operazione artistica - si sono trasferite nell'area della verità poetica".

 

LUCIANO BUDIGNA

 

"Merli è come un'avventura casalinga, un eroe di tutti i giorni. Sorridere è oggi sempre più difficile e la pittura testimonia dello scoramento che ha preso l'uomo, inconsciamente, davanti alla realtà contemporanea. Rari i sorrisi e ben vengano questi della pittura di Merli".

 

GABRIELE MANDEL

 

Giacomo Merli ha esposto al Cenacolo dei Longobardi le ultime tele sempre più festose, ma di un cromatismo controllato che non cede alla tentazione di far del colore per il colore. Anche se Merli ha dimenticato la sua origine di grafico, resta sempre in lui il trasporto per il racconto popolato da personaggi: l’entusiasmo per il Circo, per i giardini ed i Lunapark popolati di ragazzi festanti. E li rende con evidente trasporto ed evidenza.

 

DINO VILLANI

 

“…. Merli ha sempre osservato nella pittura il mezzo più congeniale per concretizzare visivamente quel sensibile dialogo sulla natura che poi diviene spontaneamente senza forzatura dialogo sull’uomo, sui suoi sentimenti. Un linguaggio figurativo, il suo, modulato con raffinata varietà di accenti: classici, matrici, fauve. In queste opere risalta un raffinato svaporare di tonalità cromatiche che rendono la pittura di Merli un limpido canto postimpressionista . In esso si avverte la poesia più genuina di Merli che risalta nel cangiante colorismo della luce che annulla volumi, forme, per trasfigurarle nel definirsi unico dell’atmosfera, della sua preziosità candida ed avvolgente. Dipinti come Giardino a Montecarlo (1976), Paesaggio Invernale (1996), Primavera siciliana (1994), Dal Castello a Portofino (1981), solo per citarne alcuni, sono indicativi della linea artistica su cui si muove con sicurezza ed eleganza l’arte di Merli. La frizzante luminosità di Dufy, l’introspettivo ed abbacinante cromatismo di Bonnard, il calligrafismo matissano sono solo alcuni dei momenti di ragguaglio storiografico che possono presentare elementi di valutazione per comprendere l’affascinante mondo pittorico dell’artista.

Per Merli la natura da un punto di vista artistico deve essere smaterializzata, liberata dalla sua materia fisicità. Per questo la pittura di Merli assume caratteri evocativamente atmosferici. Anzi si può dire che l’artista sia un vero virtuoso della pura realtà cromatica , della sua capacità di avvolgere lo spazio e renderlo non tanto plasticamente quanto liricamente luminoso. La voce pittorica di Merli si configura alternativa  a quell’immagine della natura che una parte del linguaggio pittorico padano, invece, immerge nella fisicità a volte brutale della materia con registri espressivi di orientamento neo-informale o materico. Piuttosto la raffinatezza cromatica di Merli predilige il colore come pura brezza che sfiora le cose, i contorni, restituendo di un paesaggio, di una veduta la sua indole più intima e cesellata ….”

TEODOSIO MARTUCCI

 

 

 

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